Il mondo digitale: uno spazio libero da disparità di genere?

In occasione dell’AperiTip “Il mondo digitale: uno spazio libero da disparità di genere?” abbiamo affrontato l’argomento delle relazioni che i giovani e le giovani hanno con i social network, soffermandoci su diverse questioni sollecitate dalla lettura del report dell’Istituto Europeo per l’uguaglianza di genere (E.I.G.E) Uguaglianza di genere e giovani: opportunità e rischi della digitalizzazione che studia i comportamenti virtuali delle europee e degli europei tra i 15 e i 24 anni. 

In questo articolo ci soffermeremo sui fenomeni delle violenze virtuali legate al genere.

Il report

L’EIGE afferma che “Il bullismo e la violenza virtuali costituiscono un problema; per i giovani il comportamento aggressivo online sta diventando un’esperienza costante. I ragazzi sono più esposti delle ragazze al materiale che promuove l’odio razziale o l’estremismo religioso (25 % e 20 % rispettivamente). Il numero delle femmine che dichiarano di aver subito molestie online è tuttavia maggiore di quello dei maschi (9 % contro 6 %). Per quanto riguarda la condivisione di immagini senza consenso, rispetto al 7 % dei coetanei maschi, il 9 % delle quindicenni segnala di averla subita relativamente a proprie immagini sgradevoli o inopportune.” Questo fenomeno, secondo l’EIGE, sembra essere la causa di una diversa partecipazione delle ragazze al mondo virtuale: “sia i ragazzi che le ragazze usano attivamente i social media, ma in maniera differente. Un numero maggiore di ragazzi (26 %) che di ragazze (18 %) pubblica commenti su articoli online o tramite social network o blog. È anche più probabile che i ragazzi seguano dibattiti sui social media (55 %, rispetto al 46 % delle ragazze). Inoltre, maschi e femmine pubblicano online contenuti differenti. Le ragazze caricano una quantità maggiore di contenuti di loro creazione, come fotografie (60 %, rispetto al 56 % dei ragazzi). Secondo una tendenza analoga, il numero delle ragazze che pubblicano online opinioni su problemi sociali e politici, o partecipano a votazioni online, è minore di quello dei coetanei maschi. Le ragazze tendono più facilmente all’autocensura, poiché tengono conto delle possibili conseguenze negative della loro partecipazione online in ambito politico.” La violenza online sembra essere causa di questi comportamenti, infatti “Dopo essere stati testimoni o aver fatto esperienza di abusi o incitamenti all’odio online, una ragazza su due (51 %) e il 42 % dei ragazzi esitano a impegnarsi nei dibattiti sui social media, nel timore di subire abusi. Ciò fa pensare che le ragazze riducano la partecipazione ai dibattiti sui social media come strategia preventiva contro aspre critiche e riscontri negativi.

Gli atteggiamenti online dei giovani

Gli atteggiamenti online dei giovani e delle giovani ricalcano gli stereotipi di genere della vita reale, mostrando i limiti di una cultura e di un’educazione che non tiene ancora abbastanza in considerazione le dinamiche legate al rapporto tra i sessi. I social in questo senso offrono l’illusione di una libera espressione di sé, quando invece la possibilità di scegliere cosa condividere tende a configurare visioni della realtà irrealistiche e con le quali diventa sempre più difficile confrontarsi. Nella fase più cruciale per la costruzione dell’identità, dove il confronto con gli altri e le altre diventa linfa per il processo di individuazione, i giovani e le giovani rischiano di confrontarsi con modelli corporei ed esistenziali deformati e irrealizzabili che rendono difficile la relazione con il proprio sé in evoluzione, e di imbattersi in dinamiche conflittuali e aggressive che, proprio perché collegate alla mancanza del corpo e della relazione incarnata, faticano a trovare uno spazio e un tempo di risoluzione e mediazione, quindi di mentalizzazione.

Se i social aumentano la complessità dei processi di formazione dell’identità, essi lo fanno attraverso l’amplificazione delle dinamiche sociali che si sperimentano già nella vita reale. Lo fanno estendendo l’orizzonte dell’interazione e della relazione, teatro dei processi di individuazione, ad un piano altro, che si gioca nella mancanza della presenza incarnata. Una possibile lettura di questi fenomeni ci viene fornita da Giuseppe Burgio, nel saggio “Adolescenza e violenza. Il bullismo omofobico come formazione alla maschilità”, il quale afferma che le violenze virtuali, così come le altre forme di bullismo, hanno tutte radice nel bullismo omofobico. La formazione alla maschilità, osserva l’autore, propone modelli maschili rigidamente definiti per i quali il bullismo omofobico diventerebbe funzionale alla costruzione stessa della maschilità. Il maschile, afferma Burgio (2020), “non è infatti marcato: è solo il femminile che si dà, per differenza, dalla norma maschile”. Per questo motivo, afferma Burgio, il maschile deve definirsi escludendo ciò che non è affine a quell’ideale costruito a partire dall’antichità e fino a oggi, secondo il quale l’uomo è bianco, eterosessuale, forte, sano, capace di controllare i tumulti della sfera emotiva: un eroe guerriero ideale, legato all’idea di conquista, dominio ed esclusione di ciò che si discosta dalla sua norma. 

Bullismo e violenza virtuale

In questo senso il bullismo e la violenza virtuale ricalcano, a volte in forma ancora più violenta con la possibilità di celarsi dietro uno schermo, le dinamiche da sempre esistite nelle relazioni umane; non solo quelle tra maschile e femminile, ma anche quelle tra maschile e maschile. Il maschio, nella sua costruzione identitaria, può seguire solo un modello preciso di formazione individuale dal quale, se decide di discostarsi, rischia di essere escluso con la violenza. È qui che potremmo interpretare i dati del report di EIGE, quando affermano che i ragazzi sono più esposti a forme di odio razziale e di estremismo religioso rispetto alle ragazze. Le ragazze si discosterebbero dalla norma virile già con il loro corpo, mentre ai corpi maschili non sarebbe permesso discostarsi dalla sua norma bianca, eterosessuale e distaccata dalla sfera della sensibilità emotiva. Se sei maschio devi essere virile. Forse questa è una delle chiavi interpretative alla luce delle quali possiamo leggere il report dell’EIGE anche quando afferma che i ragazzi, quando subiscono forme di abuso e violenza sia online che nella vita reale, “hanno la tendenza a ignorare e minimizzare gli abusi che subiscono. Anche l’aspettativa che i maschi dovrebbero «reagire da uomini» può rendere difficile per i ragazzi parlare degli abusi in rete o delle violenze virtuali che abbiano eventualmente subito.” In questo senso potremmo spiegare anche la difficoltà, per un maschio vittima di abuso, di trovare solidarietà e supporto da parte di altri maschi, i quali potrebbero temere di diventare vittime a loro volta avvicinandosi a quella sfera di sensibilità e comunanza associate alla relazione femminile e rifiutate dall’archetipo virile. La radice del bullismo, in definitiva, come afferma Burgio, colpirebbe primariamente le donne e l’idea di femminilità come contrario della virilità e sulla quale la virilità al contempo si definisce e si afferma per negazione. Il maschile che si discosta dalla virilità viene punito con lo scherno e l’esclusione, attaccato proprio su quelle caratteristiche che lo fanno discostare dalla norma. Da questa prospettiva potremmo spiegare perché le forme di violenza e aggressività online rivolte ai maschi riguardino principalmente l’orientamento sessuale, la religione, il corpo diverso dalla norma virile, la disabilità, il colore della pelle, la cultura e la religione di riferimento, l’origine geografica, l’età anagrafica, la prestazione fisica. La maggior parte delle violenze online rivolte alle femmine, invece, prende di mira il corpo o la sfera sessuale e riproduttiva.

Secondo la norma virile, in definitiva, né i maschi né le femmine potrebbero esprimere liberamente la loro soggettività: i maschi hanno un binario preciso e predeterminato per crescere, relazionarsi e rivelarsi, le femmine vedono il loro corpo reificato e devono mantenere la loro posizione subalterna, nel ruolo passivo – sessuale ed esistenziale – in cui sono fissate dall’ordine simbolico della maschilità virile. Attraverso questa lente potremmo leggere i dati raccolti dall’EIGE, quando rilevano che le femmine “tendono più facilmente all’autocensura, poiché tengono conto delle possibili conseguenze negative della loro partecipazione online in ambito politico”, le conseguenze negative dell’essersi sottratte alla passività richiesta dalla narrativa maschile dominante.

Il discorso sull’ordine simbolico virile e su come esso influenzi la costruzione identitaria di tutte e tutti è molto ampio e complesso; Burgio ne offre un’interessante lettura arrivando a spiegare dimensioni identitarie e sociali più estese fino ad analizzare le dinamiche storiche dell’occidente. Non essendovi la possibilità in questa sede, per limiti di spazio, di proseguire la riflessione, consiglio la lettura dei suoi articoli, insieme a quelli di altre autrici e autori che si impegnano nell’approfondire, nell’indagare e nello smascherare tutti quegli atteggiamenti e quelle tendenze che ,spesso inconsapevolmente, tendiamo a perpetrare dandoli per scontati e acquisiti, o a volte addirittura confondendoli per innocui e neutri. Luce Irigaray, è una delle prime autrici a metterci in guardia sull’attribuzione del neutro a pratiche e a discorsi che non lo sono e che, ancora una volta, nascondono l’imperialismo dell’ordine simbolico virile.

Qual è quindi il compito di chi educa? Prima di tutto quello di non negare la realtà vissuta dai giovani e dalle giovani, le cui relazioni e la cui individuazione avviene anche sul piano virtuale dei social network. Le giovani generazioni interagiscono, costruiscono relazioni, formano le loro opinioni e, in definitiva, si individuano relazionandosi anche su un piano altro rispetto a quello della presenza incarnata. È da qui che l’educazione deve partire, facendo i conti con tutto ciò che l’assenza del corpo fisico e della relazione incarnata comportano in una relazione virtuale che al contempo è estremamente reale. Normare l’utilizzo dei social attraverso la definizione dei tempi e della netiquette non è quindi una prassi educativa sufficiente se manca un ascolto che voglia realmente capire il mondo dei giovani e delle giovani prima di costruire, con e per loro, un percorso educativo. Ogni pratica educativa deve partire da una postura interrogante che permetta di osservare e riflettere in dialogo, a partire da una prospettiva che non neghi il reale ma da esso voglia muoversi per significarlo e trovarvi il posto per crescere. È a partire da qui che è possibile scardinare, nel reale e nel virtuale, le logiche del dominio, dell’esclusione e, in definitiva, della paura dell’incontro con l’altra,  conl’altro, diversa/o da sé. Attraverso il dialogo, gli adulti e le adulte hanno quindi la responsabilità di ampliare ed arricchire l’ordine simbolico di riferimento per l’educazione delle giovani generazioni e della prima infanzia, puntando sulla ricchezza dell’incontro, sulla libertà, per gli educandi e per le educande, di essere sostenute/i nel loro specifico percorso da adulti e adulte che accolgano in senso pieno l’atto creativo della crescita, libero nella sua realizzazione senza essere individualista, nel quale la relazione con le altre e gli altri venga vissuta con curiosità e rispetto, come possibilità di arricchimento della propria esperienza esistenziale e di trasformazione necessarie per la stessa individuazione di sé.

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